domenica 2 gennaio 2011

Il rumore delle vite

Ruzafa. Si, oggi faccio una passeggiata per quel quartiere. Ci sono già stato due volte ma sempre con una pseudo-meta - o un cripto-fine. A sto giro lo passeggio e basta. Un paio di orette. Un termos di tè rosso. Il legno. Prima però faccio qualche salto nei paraggi.

Ordunque posso avviarmi verso Ruzafa. Il maglioncino non lo rimetto. Termos sotto il braccio e legno incastrato tra schiena e zaino. Fra Paseo de la Alameda e Calle de las Islas Canarias si apre uno spazio immediatamente occupato da edifici alti e a dirla tutta anche un po' bruttini. All'interno di questi però c'è un piazzale, con rialzi, panchine e gazebi; una specie di piazzetta, con evidenti tracce annerite su alcune superfici. Mi verso mezzo bicchierino di tè e proseguo, promettendomi di tornare per qualche inciampo.
Provo a farmi guidare dai palazzi, ma sono ancora in una zona poco carina: le deviazioni le faccio a fiuto. Non certo per profonda attrazione di prospettive. Nonostante tutto c'è una buona presenza di vite per le strade. Non passano troppi metri dal parco di Gulliver del rio che già trovo un parco giochi completo di campi da basket. Lungo le vie le insegne si sovrappongono numerose man mano che prolungo lo sguardo. M'intrufolo così in una calle sulla sinistra con l'intenzione di entrare nel cuore del quartiere.

I passanti cominciano a farsi più rari man mano che si fanno rare le insegne. Qualche centinaio di metri e mi accorgo di essere solo. In fondo alla via noto che lo sbocco mi è famigliare. Sì, quel bar l'ho visto le altre due volte che sono stato qui. Molt bè: intanto che imbastisco pezzi di mappa nella testa mi verso un bicchiere di tè bollente e, una volta alla fine della calle, decido di aggirare l'isolato che ho di fronte in senso orario.

Ogni passo che faccio riesco a sentirlo sempre di più. L'aria si fa più silenziosa. L'isolato che sto percorrendo comincia con un edificio molto vecchio, avvolto da una rete verde. Chiedo ad un passante, mi dice che è la sede della polizia. L'edificio seguente è un po' più nuovo e senza rete. Anch'esso della polizia - questa volta è scritto fuori. Giro l'angolo: una strada larga il doppio, desolata. L'asfalto muto e l'imbarazzo del marciapiede mi invitano a volgere lo sguardo a destra: un muro grigio alto almeno due volte me con del filo spinato sulla cima. Una composizione che dura circa due bicchieri di tè, per poi lasciare posto ad un cancello blu alto uguale e impenetrabile alla vista. Una lamiera unica di almeno cinque o sei metri, che si interrompe solo per dare la precedenza ancora al muro con il filo spinato in cima. Giro l'angolo: la situazione è invariata, se non per quel parcheggio in terra battuta sulla destra che sembra ancora sussurrare accuse contro insulse demolizioni. Sussurri percepibili solo grazie all'oblio che mi circonda.

Sono finito ancora una volta in quel luogo che le volte prima era la meta.
A quanto pare il cuore più profondo e segreto di Ruzafa.
Il Centro di Identificazione ed Espulsione.
E quel silenzio tutto intorno.

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